Come ormai noto, la nuova messa in scena di Carmen al Teatro Comunale di Firenze, ad opera di Leo Muscato, oltre a svolgersi interamente in un campo Rom, ribalta il finale: Carmen, già a terra e sul punto di essere uccisa da don José, estrae una pistola e lo uccide. La cosa ha suscitato enormi polemiche, reazioni indignate da parte del pubblico e difese forsennate da parte del sovrintendente del Maggio Musicale e del sindaco di Firenze. Non avendo visto questa regia, non mi permetto di disquisire se sia riuscita o meno; mi sembra giusto però affrontare alcune questioni di principio.
Primo: cambiare l’ambientazione della Carmen si può, è lecito e nella stragrande parte dei casi pressoché necessario. Non solo, come afferma il regista, la Siviglia descritta nell’opera (con sigaraie, gitane, soldati e contrabbandieri) non esiste più, ma quel tipo di ambiente è talmente lontano dalla nostra attuale sensibilità, che una messa in scena classica di fatto finirebbe coll’attutire la forza della musica, riducendo il tutto a un quadretto olografico e lasciando lo spettatore pressoché ignaro della carica erotica, rivoluzionaria, vitale di questa partitura, così come della sua assoluta modernità e dei molteplici agganci con le più svariate dimensioni musicali. Non c’è nulla di scontato in Carmen, e una buona regia farebbe bene a tenerlo presente, invece di ridursi a un’inutile sfoggio di ventagli, baffuti contrabbandieri e ridicoli soldatini, come di solito nell’Arena di Verona. L’unica cosa importante è che lo spostamento non sia pretestuoso, ma abbia una sua logica interna e una sua forza drammatica. Se questo sia il caso di questa nuova messa in scena, lo lascio giudicare a chi l’ha vista.
Secondo: si può cambiare il finale di un’opera? In teoria la regia dovrebbe essere al servizio della musica, perché nessun regista dovrebbe mai salire così tanto nella sua presunzione da ritenere di essere più importante del compositore. Di fatto si tratta però di una pratica diffusissima, soprattutto all’estero, che colpisce indifferentemente tanto opere arcinote quanto titoli pressoché sconosciuti. Già più di una volta si è assistito a una messa in scena de La traviata in cui il ritorno finale di Alfredo è solo immaginato; pare che in epoca stalinista fosse addirittura pratica diffusa il far guarire Violetta e farla andare allegramente via con l’amante ritrovato (guai ai finali pessimistici!). Al contrario ho visto personalmente una versione di Die tote Stadt in cui Marietta viene uccisa per davvero da Paul, o una di Death in Venice che si svolge interamente durante il funerale di Tadzio. La scelta può essere discutibile, ma, se ben giustificata, può portare a risultati interessantissimi (com’era per esempio il caso di Death in Venice).
Terzo: quello che è veramente discutibile e il buttare tutta la questione in caciara politica e finto-etica, come del tutto inopportunamente fa il sindaco di Firenze. Ecco il suo tweet:
Come Presidente del @maggiomusicale sostengo la decisione di cambiare il finale di #Carmen, che non muore. Messaggio culturale, sociale ed etico che denuncia la violenza sulle donne, in aumento in Italia. 22:52 – 7 gen 2018
La violenza sulle donne era già denunciata, e con molta più forza, nella versione originale della storia, proprio attraverso la rappresentazione sulla scena dell’omicidio brutale di una donna che afferma fino al suo ultimo respiro la sua libertà. Ma qui il problema non è che Carmen non viene uccisa, ma che lei stessa uccide. Fare di questa donna un’omicida non ha niente di etico e socialmente giusto. Culturalmente ancor meno: giustificare con principi “etici” un intervento forte su un’opera d’arte è quanto di più fascista si possa immaginare.