Una variopinta danza macabra: ANTIKRIST di Rued Langaard alla Deutsche Oper di Berlino

05.02.2022 – Deutsche Oper Berlin: Antikirst

Poco dopo la Prima Guerra Mondiale il non ancora trentenne compositore danese Rued Langaard cercò di cogliere lo spirito dei tempi componendo un’opera impregnata di simbolismo religioso dal titolo Anticristo, che nella sua prima versione (1923) si svolgeva in modo (quasi) normale, ovvero con un protagonista e una trama. Il teatro di Copenaghen la rifiutò, accampando problemi di censura nel libretto, ma pochi anni dopo Langaard, convinto più che mai del suo messaggio (e aveva ragione), si rimise al lavoro sulla sua partitura, eliminando completamente trama e protagonista (era evidentemente un folle visionario), col risultato che il teatro la rifiutò di nuovo per due volte di fila (nel 1930 e nel 1935, sempre col pretesto della censura) e che l’opera non vide mai le scene durante la vita del compositore. Antikrist è stata eseguito per intero solo nel 1980 e ha dovuto aspettare altri 19 anni prima di avere una prima rappresentazione scenica a Innsbruck (1999), seguita nel 2002 da una produzione (finalmente) a Copenaghen. La prima rappresentazione tedesca (e terza produzione mondiale) è avvenuta a Magonza nel 2018, dove ho potuto vederla anch’io. Questo nuovo allestimento della Deutsche Oper di Berlino è la quarta produzione scenica mondiale dell’ Anticristo, e questo già di per sé dovrebbe essere un motivo valido per andarla a vedere.

Mettere in scena Antikrist presenta tre grossi problemi: l’opera consiste per due terzi di pura musica sinfonica; non ha una vera trama né una figura centrale in carne e ossa e, soprattutto, nell’immaginario del libretto, l’azione si svolge a livello mondiale, cosicché ciascuna delle successive incarnazioni dell’Anticristo coinvolge e corrompe grandi folle, conducendo il mondo intero nel caos. La cosa è chiaramente irrappresentabile e nella messa in scena di Magonza il regista Anselm Dalferth aggirava il problema concentrando l’attenzione sull’essenza della figura divina, intesa come Ying e Yang, ma cercando comunque di tenersi quanto più possibile vicino alla descrizione delle sei diverse apparizioni dell’Anticristo così come appaiono nel libretto (lo Spirito del Mistero e il suo Eco, la Voce che Dice Grandi Cose, il Malcontento, la Grande Prostituta e la Bestia Scarlatta, la Menzogna, l’Odio). L’intera azione si riduceva così all’interno di un solo ambiente, più grande di una stanza ma più piccolo di una città, che veniva progressivamente smantellato, condotto nel caos e infine spazzato via nel finale. L’effetto del finale era grandioso e, per così dire, “spettinava”, ma in tutta la parte precedente si perdeva purtroppo il clima apocalittico.

3 Giugno 2018 – Staatstheater Mainz: Antikrist

A Berlino il regista Ersan Mondtag si è trovato di fronte a un ulteriore problema, ovvero che nelle particolari condizioni acustiche della grande sala della Deutsche Oper la fitta scrittura orchestrale lasciava passare a malapena le voci dei cantanti. Il regista ha fatto di necessità virtù e risolto in un colpo quattro problemi. Per prima cosa egli porta i cantanti quanto più avanti possibile, poi nel resto della scena, che altrimenti rimarrebbe vuoto, una coreografia continua si muove seguendo il movimento delle voci nella partitura e animando così anche tutti i passaggi sinfonici. In questo modo le differenti apparizioni possono passare tutte quasi in rivista sul proscenio, quasi come nel teatro barocco, coi loro costumi sempre più mostruosi e come la scenografia chiaramente improntati all’Espressionismo (scene e costumi sono anch’essi opera del regista). Una tale impostazione restituisce finalmente anche l’effetto apocalittico, portando tutta la rappresentazione su un piano simbolico in cui le diverse figure tendono più a rivolgersi direttamente al pubblico in sala che ad interagire tra di loro, evitando così il problema di dover mettere in scena grandi folle o grandi ambienti. Mondtag ha rinunciato anche a seguire da vicino le indicazioni per le diverse figure e si è divertito a inventarsi una trama che legasse tra loro i diversi episodi e ritrovando quasi un trio di personaggi principali, liberamente reinterpretati dalla partitura: Lucifero, la Voce di Dio e la Grande Prostituta. Nel lavoro di Langaard Lucifero compare solo all’inizio, quasi in colloquio con la Voce di Dio; Dio resta appunto invisibile e si manifesta solo attraverso una voce recitante e la Grande Prostituta, con la sua Bestia Scarlatta, è solo una delle incarnazioni dell’Anticristo, anche se, a differenza delle altre, resta in scena ed entra in un animato contrasto con le due apparizioni seguenti (la Menzogna e l’Odio). Mondtag approfitta del ruolo parlato per farne una figura vera e propria, il Figlio di Dio, che si ritrova sulla Terra alla fine del mondo e viene preso sotto la falsa ala protettrice di Lucifero. I due ricompaiono quindi continuamente sulla scena e interagiscono coi vari eventi; il Figlio di Dio/Anticristo in alcune occasioni cancella gli eventi e fa riavvolgere il tempo, con l’effetto di un improvviso sfarfallio luminoso che avvolge la scena in una luce irreale (e questo rende tra parentesi giustizia al concetto sostanzialmente atemporale di quest’opera, nella quale il tempo scorre idealmente in tutte le direzioni).

@deutscheoperberlin.de

Ma poi compare la Grande Prostituta (il cui accompagnatore, per inciso, si identifica come “Bestia scarlatta” solo dalle corna e dagli zoccoli) e lentamente tutto cambia, virando verso un finale imprevisto, in una coloratissima azione in cui Bene e Male, bellezza e mostruosità, Barocco ed Espressionismo, umano e disumano si compenetrano in una sorta di gigantesca danza macabra, un incubo lucido che il Figlio di Dio, unica persona viva nel contesto, porta alla soglia del risveglio. Ritroviamo qui tutti gli elementi stilistici di Mondtag che avevano caratterizzato anche la sua riuscitissima messa in scena di Der Schmied von Gent ad Anversa, tra cui anche l’apparizione di figure androgine (qui anche con evirazioni e/o mutamenti di sesso) e di gigantesche bambole, così come il rovesciamento ironico o, se si vuole, lo smascheramento del messaggio morale. Davvero un raro esempio di perfetto incontro tra opera e regista, come se ne vedono di rado oggi. D’altronde lo stesso Mondtag ha dichiarato, nell’incontro col pubblico, che se un regista vuole a tutti i costi comunicare un particolare messaggio, dovrebbe lavorare con un compositore vivente a una nuova opera, invece di fare a pezzi le opere del passato, e il magnifico lavoro sull’Anticristo riflette pienamente il suo Credo.

11 Febbraio 2020 – Opera Vlaanderen Antwerpen: Der Schmied von Gent

Non da meno è la parte musicale. Tutti i cantanti sono azzeccatissimi nei loro ruoli e tutti si concentrano all’effettiva caratterizzazione del personaggio, scolpendo sulla scena ciascuna delle figure in maniera estremamente differenziata (e non era facile). L’intera interpretazione riesce addirittura nell’impresa di rendere i vari interventi in qualche modo sempre più aggressivi, e in questo senso è esemplare il percorso di Thomas Lehman, signorile e quasi bonario nelle vesti di Lucifero all’inizio dell’opera e violentissimo nel suo intervento nella scena finale in quella che in partitura sarebbe “una Voce”. Valeriia Savinskaia (Eco dello Spirito del Mistero) e Irene Roberts (lo Spirito del Mistero) inaugurano poi la serie delle apparizioni con un tono inaspettatamente dolce e calmo, fortemente in contrasto con la loro inquietante apparizione. L’ottimo Clemens Bieber, che ritroveremo a maggio come Cancelliere nella produzione dello Schatzgräber di Schreker, interviene una prima volta come Voce che Dice Grandi Cose cantando slogan in maniera del tutto inespressiva e quasi sgradevole, per poi evolversi nel suo ritorno come Menzogna (in questa messa in scena senza cambiare costume e quindi sostanzialmente come seconda faccia dello stesso personaggio) in un tono insinuante e acido. /*ERRATA CORRIGE: quanto appena affermato si riferisce a quello che avevo visto alla prova generale e in realtà rispondeva a una situazione di emergenza causata dal Covid, per cui lo stesso cantante – appunto Bieber, stando al programma – assumeva ambedue i ruoli, cantando una prima volta dal lato della scena mentre l’azione sulla scena veniva eseguita da un attore. Nella prima il ruolo è stato in realtà cantato da Thomas Blondelle e solo a partire dalla seconda recita la situazione si è normalizzata, con Bieber come Voce e l’ottimo Andrew Dickinson, con un volume di voce decisamente maggiore e un’interpretazione tagliente, come Menzogna. I costumi dei due ruoli erano comunque differenti ma la situazione alquanto caotica mi ha indotto in errore.) Gina Perregrino nelle vesti del Malcontento è brava a contenere le sue doti espressive e aggiungere un ulteriore strato incolore generando una tensione incredibile verso l’apparizione della Grande Prostituta, che con la voce imponente e l’interpretazione tesissima di Florina Stucki e con la sua non meno imponente apparizione fisica nel suo debordante costume fa concorrenza alla diabolica e terrificante Bestia Scarlatta (AJ Glueckert). Il monumentale ingresso dell’Odio con la voce tonante di Jordan Shanahan chiuderebbe il crescendo vocale delle apparizioni, se non fosse superato subito dopo dal ritorno di Thomas Lehman, con la sua quasi trionfale dichiarazione che “Dio è morto”. Particolarmente incisiva, infine, la presenza, tanto vocale quanto, soprattutto, fisica, di Jonas Grundner-Culemann nel piccolo ruolo parlato della Voce di Dio, che nella presente messa in scena ha il difficilissimo compito di divenire il vero protagonista di tutto l’arco “narrativo”. Eccezionale anche la cura nella dizione del complicatissimo testo. Se l’opera fosse stata eseguita in danese, ovvero nella sua lingua originale, il pubblico avrebbe passato tutto il tempo a leggere i sopratitoli cercando invano di orientarsi, e quindi azzeccatissima si rivela la scelta di eseguire l’opera in una lingua comprensibile per la maggioranza del pubblico in sala, puntando anche appunto sulla piena comprensione del testo, in nessun punto sacrificato alle massicce ondate musicali. Il lavoro che c’è dietro a tutta la concezione dev’essere stato enorme. Una lode particolare va infine al direttore Stephen Zilias che, alla guida dell’orchestra della Deutsche Oper, non si limita a differenziare i differenti stili che convivono nella partitura, continuamente ondeggiante tra un predominante linguaggio post-wagneriano, reminiscenze barocche e passaggi estremamente angolosi che confinano direttamente con la musica atonale (ponendo, a mio parere, un particolare accento su questi ultimi), ma riesce a creare un grande arco tensivo dall’inizio alla fine, rendendo per esempio misterioso il fugato iniziale e perfettamente chiara la sua gloriosa ripresa nel finale. Nell’insieme uno spettacolo magnifico, giustamente accolto da tonanti ovazioni. Non vedo l’ora di poterlo rivedere!

@deutscheoper.de

Published by amandusherz

Laureato col massimo dei voti e lode all'Università di Firenze con una tesi sui Lieder di Franz Schreker, ha collaborato al programma di sala per la prima rappresentazione italiana di "Die Gezeichneten" a Palermo e ha partecipato come relatore al convegno su Schreker a Strasburgo in occasione della prima assoluta di un'opera di Schreker in Francia. Attualmente scrive la tesi di dottorato alla Goethe-Universität di Francoforte.

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