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Das Highlight dieses Konzertes war Arcana von Varèse, ein Stück, das selten in Konzertprogrammen vorkommt und von dem keine wirklich überzeugende Aufnahme greifbar ist. Der Rest des Konzertprogrammes – Repertoirestücke wie Debussys Prélude à l’après-midi d’un faune und Berliozs Symphonie fantastique – schien auf den ersten Blick weniger interessant. Das Ergebnis ging aber gegen die Erwartungen: Gerade Arcana war nicht so hinreißend. Sein charakter zwischen Amériques und Octandre macht das Stück recht unüberschaubar. Die Besetzung für großes Orchester und die klangliche Wirkung erinnern stark an Amériques, das Formkonzept orientiert sich hingegen an Octandre , wegen des ständigen Kreisens um eine musikalische Idee, als wäre sie ein körperlicher Gegenstand, den man aus verschiedenen Perspektiven betrachten kann. Bei Arcana fehlen aber sowohl das große Crescendo und die emotionale Wirkung von Amériques, als auch die glatte Objektivität von Octandre. Die distanzierte Interpretation von Nelsons schien nicht im Stande, weder die furiosen Klangausbrüche zu rechtfertigen, die hier und da von der Orchestermasse hervorbracht wurden, noch die formale Einrichtung des Stückes vom Anfang bis Ende auf einer überzeugenden Weise zu vermitteln. Aber vielleicht liegt das Problem eher beim Stück als beim Dirigenten.
Sehr klar war aber die Absicht von Nelsons, die drei Stücke im Programm unter dasselbe Licht zu stellen. So klang Debussys Prélude à l’après-midi d’un faune genauso distanziert aufgeführt, nahezu erstarrt und alles anderes als sentimental. Das Werk klang in dieser Interpretation eher wie ein Vorläufer von Jeux. Obwohl dieser Ansatz sehr interessant ist und obwohl Nelsons jedes Detail äußerst deutlich hervorgebrachte und die ganze Struktur fest unter Kontrolle hielt, wirkte das Ergebnis ein bisschen forciert.
Die echte Überraschung des Abends war die Symphonie fantastique. Dort schenkte ein echt großer Dirigent den Zuhörern eine staunenswerte Aufführung, völlig neu und zugleich Partiturtgereu– etwas das, ich wage es zu sagen, wie eine Meilenstein in der Interpretation dieses Stückes betrachtet werden kann. Diesmal hob die distanzierte Interpretation eher die subjektive Dimension der musikalischen Erzählung hervor. Normalerweise erscheint die Symphonie in zwei Teile gespaltet, wobei die ersten drei Sätze die romantische Entwicklung einer unglücklichen Liebe darstellen und die letzten zwei völlig in Wahnsinn einsinken; diesmal war sie aber schon ab den allerersten Takten in einer halluzinierenden Stimmung versunken, in die nur ab und an Realitätsfetze eindringen konnten. Der 1. Satz, Rêveries – Passions, löste sich nicht in einer losen Reihe mehr oder weniger träumerischer Episoden auf, nahm stattdessen quasi die Kontur eines Themas mit Variationen an, als würde er den Versuch eines geisteskranken Verstandes darstellen, Ordnung in seine Erfahrungen und Gefühle zu bringen. Dies bezog sich damit auf die vorangegangene Interpretation des Stückes von Debussy. Der Satz bekam auf dieser Weise eine erstaunliche Kohärenz und Einheitlichkeit und wurde zugleich nicht weniger phantasierend als der Hexensabbat am Ende, der so als geeignete Schlussfolge dieses Satzes erschien. Völlig umwerfend klang der 2. Satz, Un bal, bei der wiederum ein Kippen der Perspektive gab. Statt, wie sonst, einen eleganten Walzer zu hören (objektive Welt), bei dem sich die Gefühle des Protagonisten einschleichen (subjektive Welt), war hier die Spaltung zwischen Realität und Wahnvorstellung extrem dramatisiert. Der tobende Walzer klang wie ganz aus der subjektiven Perspektive des Protagonisten filtriert und entstellt, während die idée fixe hingegen als etwas Externes, Reales aussah – und damit noch unerreichbarer wirkte. Sehr ausgeglichen war die folgende Scène aux champs.Die plötzliche Stille nach dem Getöse des Tanzes klang auf einmal äußerst modern, als hätte sie die Linearität und Trockenheit einiger neoklassischer Partituren vom Anfang des 20. Jahrhunderts vorweggenommen. Der Versuch nach Objektivität löste sich in einer ebenso künstlerischen Landschaft aus, wie die der vorigen Szenen. Das Idyll war schon ab dem Oboeneinsatz völlig aufgelöst; der abrupte Gefühlsausbruch des mittleren Teils zeichnete nicht mehr ein wieder aufblühen des Leidenschaften, sondern eher der endgültige Kotrollverlust und die Kapitulation des Protagonisten. Was folgte, konnte nur ein Weg in die Dunkelheit sein. Nach solchen Prämissen brauchte Nelsons die groteske Seite der Marche au supplice gar nicht besonders zu unterstreichen: Eben weil die Interpretation völlig konsequent war, klang die Symphonie schon grausig genug. Schließlich, setzte Nelsons die vollständige Verzerrung von Themen und Klängen beim Songe d’une nuit du sabbat in Verbindung mit der kalten Wut von Arcana, damit eine gewaltige klangliche sowie emotionale Wirkung erreichend und noch alles übertreffend, was er bis dahin hören lassen hatte. Sensationell!!

L’attrazione principale di questo concerto era Arcana di Varèse, pezzo eseguito molto raramente e del quale a dire il vero non ho nemmeno mai trovato un’esecuzione convincente. Il resto del programma includeva pezzi di repertorio come con il Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy e la Symphonie fantastique di Berlioz, a prima vista meno interessanti. Il risultato però è andato contro le aspettative.
Arcana in realtà non è stato così entusiasmante. Il suo essere a mezza strada tra Amériques e Octandre lo rende un pezzo non facile da gestire: la dimensione sonora per grande orchestra ricorda molto Amériques, mentre l’impianto formale, il continuo girare in tondo intorno a un’idea musicale, quasi come se si trattasse di un oggetto fisico da esaminare sotto varie prospettive, rimandano già a Octandre – solo che in Arcana mancano tanto l’impatto emozionale e il gigantesco crescendo del primo quanto la lucida oggettività del secondo. La lettura distaccata di Nelsons non è sembrata in grado di giustificare gli scatti di furia sonora che erompevano qua e là, ma nemmeno di reggere in maniera convincente l’impianto formale dall’inizio alla fine. Ma forse il problema risiede nel pezzo e non nell’esecutore.
Era chiaro, invece, l’intento di porre tutti e tre i brani sotto un’unica luce. Così anche il Prélude à l’après-midi d’un faune, eseguito con lo stesso distacco, suonava quasi raggelato e tutt’altro che sentimentale, anticipando Jeux. Nelsons ha diretto con estrema chiarezza e sicurezza ottenendo un risultato sicuramente interessante, anche se forse un po’ forzato.
Ma la vera sorpresa è stata la Symphonie fantastique. Là un grande Maestro ha regalato agli ascoltatori un’esecuzione strabiliante, completamente nuova e allo stesso tempo del tutto attinente, che può tranquillamente essere considerata una pietra miliare nell’interpretazione di questo lavoro. La lettura distaccata paradossalmente metteva in evidenza la dimensione soggettiva del racconto musicale, che invece di essere spaccato in due parti come succede di solito, con i primi tre movimenti che delineano l’evolversi di un romantico amore infelice e gli ultimi due completamente sprofondati nella follia, era fin dalle primissime battute immerso in un’atmosfera di allucinazione, nella quale penetravano qua e là brandelli di realtà. Il primo movimento, Rêveries – Passions, invece di risolversi in una sequenza di episodi slegati più o meno sognanti, assumeva quasi il contorno di un tema con variazioni, come se fosse il tentativo da parte di una mente disturbata di mettere ordine nella propria esperienza e nelle proprie sensazioni, stabilendo anche una diretta relazione con l’interpretazione del brano di Debussy. In questo modo assumeva un’unità e una coerenza mai sentite, e allo stesso tempo risultava non meno delirante del sabba finale, che ne diveniva una perfetta conseguenza. Assolutamente travolgente il secondo movimento, Un bal, di nuovo con un ribaltamento di prospettive. Invece di avere, come al solito, un elegante valzer (mondo oggettivo) nel quale s’insinuano le sensazioni del protagonista (mondo soggettivo), si aveva una spaccatura tra realtà e delirio, nella quale il valzer veniva interamente filtrato e distorto nel mondo soggettivo del protagonista, mentre l’idée fixe appariva come qualcosa di esterno e concreto – e per questo ancora più irraggiungibile. Equilibratissimo la Scène aux champs, in cui l’improvvisa quiete dopo il frastuono del ballo suonava d’un tratto modernissima, come se anticipasse la linearità e la secchezza di certe partiture neoclassiche d’inizio Novecento. Il tentativo di oggettività si risolveva nella creazione di un paesaggio non meno artificiale dei precedenti; l’idillio è completamente annullato già dall’attacco dell’oboe; l’improvvisa esplosione sentimentale della parte centrale segnava non tanto il risorgere della passione quanto la definitiva perdita di controllo e la resa del protagonista, e ciò che seguiva poteva essere solo oscurità. Con tali premesse, Nelsons non ha avuto alcun bisogno di calcare la mano sui lati grotteschi della Marche au supplice, che in questa visione risultava perfettamente agghiacciante proprio perché del tutto conseguente. Nella completa deformazione tematica e sonora del Songe d’une nuit du sabbat, infine, Nelsons si ricollegava alla fredda furia di Arcana, ottenendo un impatto sonoro ed emotivo impressionante e oltrepassando (se possibile) tutto quello che aveva fatto fino a quel momento. Sensazionale!
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